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The forgotten century

“Il monito di Vinton Cerf”

Una riflessione personale sulle allarmanti parole di Vinton Cerf, un esimio e stimato uomo d’affari oltre che legittimo conoscitore dell’evoluzione dei sistemi informatici.
Una riflessione sull’idea di fotografia oggi.
Il prequel di una serie di articoli che illustreranno l’evoluzione delle tipologie di stampa nell’era digitale.

Vinton Cerf, per molti di noi è uno dei tanti esseri viventi che popolano questo pianeta, certamente benestante e aggiornato su molte delle problematiche derivanti dall’evoluzione informatica, ma comunque un settantenne di grandi prospettive e con interessi economici molto sviluppati nel settore digitale.

Purtroppo, però, per alcune persone, in questi giorni, sembra essere diventato il guru, l’incarnazione del sapere, insomma, lo scopritore dell’acqua calda.

Stampate le vostre immagini o rischiate di perdere per sempre i vostri ricordi. La nostra società potrebbe essere ricordata come il Medioevo dell’era digitale.

Sintetizzati e semplificati questi sono i moniti chiari e diretti lanciati dal VP di Google e verrebbe da chiedersi se “la grande azienda di internet” non sia sul punto di fornire un servizio di stampa digitale online. Bah, a parte queste “illazioni”… Un fondo di verità rimane, e la verità è molto più semplice di quanto sembri.

Se non stampi una fotografia a cui tieni, vuol sicuramente dire che non è degna di far parte della tua vita, non può essere appesa in casa tua, non hai il piacere di condividerla con gli amici…

Insomma, viene da chiedersi: perché l’hai scattata?

Il monito di Vinton Cerf deve far certamente riflettere, ma non in modo becero.

Tra cento anni, con tutta probabilità, nessuna delle nostre stampe esisterà più, butteremo tutto perché il risultato sarà così deteriorato da non essere più fedele all’originale (a parte quello che vi possono dire, se non conservate al buio in ambiente idoneo, sono sufficienti 30 anni a stravolgere cromaticamente la vostra fotografia).

Mentre i file digitali resteranno, forse non più leggibili dai programmi, ma resteranno. Basterebbe incidere i codici dei programmi di lettura dei file su lastre di platino-iridio e conservarli in sale idonee per fornire ai “futuri archeologi” le basi per leggerli. Così come abbiamo fatto per il metro lineare e come abbiamo fatto per le unità di peso e misura conservate presso il Pavillon de Breteuil a Sèvres.

Certamente sarebbe il caso di trasferire gli archivi digitali e aggiornarli, dovremmo salvare i dati e fare in modo di averne copie duplicate in archivi separati, dovremmo far in modo che i quasi obsoleti DVD siano entro breve sostituiti dai più aggiornati BluRay e a breve da altre tecnologie sempre più stabili e capienti e dovremmo anche fare in modo di salvare in Cloud i nostri dati protetti da attacchi indiscriminati… Insomma, dovremmo tutelarci.

Ma questo non è un assioma assoluto, non serve solamente salvare i dati e tenerli aggiornati… Serve anche ricordarsi dei propri ricordi…

Ecco, scatto una fotografia di un’alba memorabile, un istante trascorso con la persona che amo… Quell’istante unico rievoca in me splendidi pensieri e finché mantengo l’immagine come sfondo del mio desktop la mia vita ripercorre quel ricordo, ma poi, una nuova emozione, una nuova fotografia, sostituisce e aggiorna quell’immagine. In un istante il mio passato si perde nelle cartelle di un computer. E col passare del tempo quel ricordo diventa solo un’imprecazione verso il momento in cui non ho stampato e appeso alle pareti quella bellissima immagine. Persa, oramai, definitivamente tra le molteplici cartelle. In compenso, su Facebook, Instagram e Twitter, trovo una moltitudine di scatti inutili di pietanze, bottiglie di vino, feste con amici e osceni selfie che uccidono la memoria. Certo, fanno sorridere, pensare, ricordare alcuni istanti, ma non rievocano emozioni. Riesco a risalire a tutto tranne che a quell’immagine… Cavolo! L’avevo tolta dal desktop ma mi sono accorto che è veramente importante, vorrei stamparla, devo stamparla!!! La voglio appendere alle pareti del mio ufficio perché mi trasmette serenità.
Dopo una strenue ricerca, ritrovo finalmente l’originale e mi rendo conto che… Beh… Era splendida a monitor, certo, ma per ricreare quell’atmosfera avevo ritoccato la mia fotografia con un software che genera esclusivamente immagini in bassa qualità… Non è più stampabile, è piccola e non riprodurrebbe su carta l’emozione che trasmette a monitor!!!

Ecco il paradosso, non è nell’ipocrisia del dire che non abbiamo stampato una fotografia bensì è nel pensare di non doverla mai stampare.

L’assurdità vive nel mondo digitale, è stupido pensare che i ricordi possano essere persi, sono nella nostra memoria, nella nostra mente, sono ciò che siamo oggi, ma ciò che possiamo perdere è l’identità della memoria, la possibilità di condividere con gli altri quell’attimo che in noi ha creato emozioni e sensazioni uniche. Condividiamo le idiozie di ogni giorno in bassa qualità perché tanto non serve, ma ci dimentichiamo di salvare i ricordi in un luogo facilmente raggiungibile, li disperdiamo in cartelle frammentate, con bassa qualità e li perdiamo nell’oblio.

Non dobbiamo stampare le fotografie perché un settantenne, di grandi vedute e peraltro molto acuto, che però manifesta interessi diretti nel settore dell’immagine digitale, si è svegliato un giorno e ha tuonato contro il mondo, dobbiamo farlo perché è insito nella fotografia. Dallo scatto alla stampa, il percorso è unico e univoco, l’immagine vive quando può essere archiviata, esposta e condivisa fisicamente, non in modo evanescente e opinabile. Non stampiamo le nostre immagini perché dobbiamo preservare i ricordi per i futuri millenni, lo facciamo perché vogliamo avere una prova tangibile di ciò che abbiamo vissuto.

E non dobbiamo stampare solo a getto d’inchiostro Fine-Art perché oggi qualcuno si è svegliato e ha deciso che è la soluzione migliore, o creare quadri su tela, o stampe su plexiglass, o semplici stampe laser su carta uso mano, dobbiamo farlo prima di tutto con stampanti a “getto di luce” a sviluppo cromogeno, macchine che, come è sempre stato, utilizzano la vecchia carta fotosensibile.

La fotografia, in fondo, è questo, un percorso di luce dalla scena alla stampa.

Esistono molteplici tipologie di stampa e molteplici finalità, esistono numerose destinazioni d’uso e risultati differenti, non esiste una tecnologia che prevarica le altre. Indipendentemente dal fatto che qualcuno possa dirvi che una fotografia durerà 100 o 200 anni, resta il fatto che non vi sono prove tangibili di conservazione se non che le vecchie stampe già tendono a deteriorarsi se non conservate adeguatamente.

Non dobbiamo stampare le immagini perché rischiamo di perderle, dobbiamo farlo perché le riteniamo parte della nostra vita, se così non fosse, sarebbe più utile dimenticarsele.

Orsù, dunque, stampate come preferite, non per conservare, ma per condividere, sperimentare e divertirvi, la fotografia è questo, un disegno di luce e alla fine si è sempre completata su un foglio.

www.simonebassani.it

© Simone Bassani

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