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PERCHÉ FOTOGRAFARE IL PAESAGGIO

di Alessandro Mallamaci

Noi lo fotografiamo con rispetto, come se fosse un paesaggio bello, un paesaggio che ha voglia di essere presente sulla scena della conoscenza del mondo e quindi con quell’atteggiamento etico ci mettiamo di fronte.
Gabriele Basilico

Che senso ha la fotografia di paesaggio? E cosa si intende precisamente con la parola “paesaggio”? La convenzione europea del paesaggio ha dato nel 2000 la seguente definizione di paesaggio: una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. Il concetto è complesso e fa chiaramente riferimento all’azione dell’uomo sulla natura, oltre che alla percezione che l’uomo ha dell’ambiente in cui vive.

Luigi Ghirri sosteneva che la disaffezione verso le problematiche ambientali possa derivare dall’incapacità dell’uomo di relazionarsi con la rappresentazione dell’ambiente stesso. Quindi fotografare il paesaggio può avere un grande peso culturale e una grande efficacia ed è sicuramente un modo per contrastare l’assenza di rappresentazione a cui fa riferimento Ghirri.

Gabriele Basilico, un altro dei maggiori protagonisti della scuola della fotografia di paesaggio italiana, faceva riferimento alla pratica della contemplazione, cioè uno sguardo lento che per vedere e rappresentare ha bisogno di un tempo dilatatissimo.

Sempre Basilico a proposito di Viaggio in Italia, scrive che il coraggio di quella che è stata probabilmente la più importante campagna fotografica italiana, è stato quello di aver fissato degli elementi di visione e di rappresentazione di un paesaggio che nessuno di noi conosceva prima ma che vedevamo tutti i giorni e quindi il coraggio di avergli dato immagine, avergli dato una forma, quindi mettere in forma il Paese così com’è e che percorriamo da mattina a sera, al di là degli spazi spettacolari dei grandi monumenti, al di là delle fotografie di paesaggio tipo National Geographic, al di là della spettacolarità che faceva parte del mondo mediatico del paesaggio, e la riscoperta del luogo comune.

La riscoperta del luogo comune, che bel concetto. Quello che sento dire più spesso ai mie studenti è che in questa città non c’è niente di interessante da fotografare e non importa se lo studente in questione abiti a Reggio Calabria, a Roma o a Milano. Spesso si va alla ricerca di qualcosa di esotico da fotografare, ma quanto approfondimento c’è nella fotografia di un viaggio di una settimana in una località remota del pianeta di cui non conosciamo nulla? Non sarebbe molto più bello impegnarsi per scalfire la superficie, provare ad andare in profondità? E come si fa ad andare in profondità se non dedicando molto tempo a sviluppare la propria visione… il proprio linguaggio… un progetto… una storia… Il ritorno nei luoghi ad esempio è un modo per mantenere un contatto col paesaggio, guardarne le evoluzioni e trascorrere del tempo assieme al nostro paesaggio, come se fosse un caro amico. Sì perché fotografare un paesaggio significa raccontare la storia delle comunità che lo hanno abitato e modificato. Ogni segno sul paesaggio è come una cicatrice sulla pelle di una persona secondo Filippo Romano, uno degli autori contemporanei più importanti in Italia nell’ambito della fotografia di paesaggio.

Tornando al concetto del ritorno nei luoghi, provate a guardare i lavori di Luigi Ghirri e Gabriele Basilico, che abbiamo già citato, e visionate anche le bellissime immagini di Guido Guidi, un maestro assoluto dell’analisi della rappresentazione del paesaggio e del tempo.

Il fotografo di paesaggio non è attratto da prospettive esagerate, immagini patinate, tecniche di post-produzione invasive. La rappresentazione del paesaggio richiede semplicità e “oggettività”. Certo è impossibile che un fotografo sia oggettivo: neanche Giovanni Verga è riuscito a rimanere oggettivo, nonostante questa fosse la missione della corrente letteraria a cui ha aderito e di cui è stato il maggior esponente in Italia. Il fotografo opera delle scelte, egli infatti usa una determinata macchina fotografica, un obiettivo e una pellicola. Inoltre sceglie la propria posizione nel mondo. Infine decide cosa includere nel fotogramma e cosa lasciare fuori. Però può impegnarsi a ricercare la semplicità e provare a mettere da parte il proprio narcisismo.

Proprio di recente un’amica, guardando il mio account Instagram, dedicato ormai esclusivamente al paesaggio, mi ha domandato come mai stessi pubblicando delle fotografie brutte. A suo avviso il paesaggio rappresentato in quelle foto è sgradevole. Non sono d’accordo, o forse si, ma il punto non è che io desideri scattare delle immagini brutte: la questione fondamentale che lei non aveva colto è che quello è il nostro paesaggio, anche se a volte ce ne dimentichiamo o non ci facciamo troppo caso. Io mi sono limitato a puntare la mia macchina fotografica verso quel paesaggio. Non ho cercato il degrado, non ho usato tecniche di ripresa utili ad enfatizzare una certa situazione (che in taluni casi è già abbastanza disperata). Ho solo fatto clic.

Riguardare le fotografie di paesaggio trovo che sia un esercizio estremamente interessante. Ogni volta si vedranno elementi che non si erano notati in fase di scatto. Tutti elementi che raccontano in maniera delicata – ma chiara a un occhio attento e paziente – la storia delle persone che abitano e hanno abitato quel paesaggio.

Nelle “mie” foto i soggetti sono quelli di tutti i giorni, appartengono al nostro campo visivo abituale: sono immagini insomma di cui siamo abituati a fruire passivamente; isolate dal contesto abituale della realtà circostante, riproposte fotograficamente in un discorso diverso, queste immagini si rivelano cariche di un significato nuovo.
Ne possiamo allora fruire attivamente, cioè possiamo iniziare una lettura critica.
Per questo mi interessa soprattutto il paesaggio urbano, la periferia, perché è la realtà che devo vivere quotidianamente, che conosco meglio e che quindi meglio posso riproporre come “nuovo paesaggio” per un’analisi critica e sistematica.

Luigi Ghirri

Per approfondire l’argomento: http://blog.alessandromallamaci.it/category/paesaggio/

Alessandro Mallamaci
www.alessandromallamaci.it
blog.alessandromallamaci.it
workshop.alessandromallamaci.it
instagram.com/alessandromallamaci

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