Joel Meyerowitz
“Creating a senso of place”
“Creating a senso of place”
In occasione della Lectio Magistralis che Joel Meyerowitz terrà a Firenze il 10 ottobre 2013, continuiamo a ripercorrere la carriera del grande fotografo newyorchese, analizzando il suo passaggio alla fotocamera grande formato con cui ha ritratto per oltre trent’anni l’architettura e il paesaggio americani.
1976-2000: CREATING A SENSE OF PLACE
Nel 1976, colpito dalla visione di alcune immagini di Stephen Shore, e alla ricerca di un dettaglio e di una gamma cromatica maggiore di quanto possa dargli la pellicola 35mm, Meyerowitz acquista una fotocamera a banco ottico, una Deardorff 8×10 del 1938, suo anno di nascita. “Infilare la testa sotto il pano nero” racconta Meyerowitz, “è stato come entrare in una caverna che non avevo mai esplorato, e chi si è rivelata essere la ‘caverna di Platone’. L’improvvisa apparizione dell’immagine capovolta e invertita sul vetro di messa a fuoco mi ha dato un’enorme emozione, che continuo a vivere ancora oggi”. I primi esperimenti con il nuovo strumento si svolgono a Cape Cod, durante le vacanze, e continuano poi fino alla realizzazione di un corpo di immagini straordinario che verrà pubblicato nel 1978 nel libro Cape Light (Bulfinch Press, Boston) uno dei più grandi successi nella storia dell’editoria fotografica, con oltre 100.000 copie vendute in tutto il mondo.
In queste fotografie il passo di Meyerowitz, abituato alla velocità e alla frenesia delle strade newyorchesi, si fa più lento, lo sguardo più contemplativo. Ciò che non cambia, anzi si acuisce, sono l’attenzione per i dettagli e il desiderio di lasciarsi sorprendere dal mondo che si trova davanti. La Deardorff gli permette di registrare sulla pellicola negativa a colori una gamma infinita di sfumature, e di dettagli. Le sue immagini rievocano per certi versi i quadri di Edward Hopper, che negli anni ’30 aveva frequentato e dipinto anch’esso il Capo.
All’interno del progetto dedicato a Cape Cod Meyerowitz inserisce una serie di fotografie molto particolari, che verranno poi raccolte nel 1993 nel volume Bay/Sky (Bulfinch Press, Boston). Si tratta di fotografie della Provincetown Harbor Beach prese tutte praticamente dallo stesso punto di ripresa, in giorni, orari e situazioni climatiche differenti, che descrivono il mutevole rapporto tra la spiaggia, l’acqua e il cielo. Come sottolinea Francesco Zanot nel suo libro Il Momento Anticipato (2005, Edizioni della Meridiana/Ultreya) in queste immagini “l’attenzione si sposta dallo spazio rappresentato – essenzialmente costante – all’azione della variabile temporale su di esso, causa di sostanziali alterazioni luministiche : lo scorrere delle ore, dei mesi e delle stagioni trasforma uno scenario pallido e uniforme nella tavolozza di un pittore espressionista, poi lo tinge di rosa e di azzurro con l’approssimarsi del crepuscolo, e di nuovo lo vela di marrone quando nell’aria si diffonde l’odore di un violento acquazzone”.
La parentesi nel New England non distoglie però Meyerowitz da quello che per cinquant’anni è stato il suo vero soggetto: la (le) città. Nel 1977 gli viene proposto di sviluppare un progetto sulla città di St. Louis, e Meyerowitz accetta con entusiasmo. Come un novello Atget, ne percorre gli ampi viali con la folding in legno di ciliegio sulle spalle, e subito il suo sguardo viene attratto dal Gateway Arch, l’immenso arco, realizzato a metà degli anni sessanta su progetto del grande architetto finlandese Eero Saarinen sulla riva sinistra del Mississippi. Meyerowitz comincia a perlustrare la città con un movimento a spirale, avvicinandosi e allontanandosi dall’arco, che di questo continuo movimento diviene il fulcro e il protagonista indiscusso. Un approccio che Meyerowitz replicherà poi sia ad Atlanta, con la IBM Tower, che a New York, prima con l’Empire State Building e poi con le Twin Towers.