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Intervista a Richard Bram

di Stefano Mirabella

Leica e la streetphotography, un legame forte, un binomio che sin dai tempi di Bresson ha scandito e segnato gli “attimi” più significativi mai catturati nella storia della fotografia. Ancora oggi, come molti anni fa, i più grandi fotografi di strada usano Leica per raccontare il mondo tramite la loro personalissima visione.

L’intervista a Richard Bram è una delle interviste curate dal nostro Leica Ambassador, Stefano Mirabella, dedicate ai protagonisti alcuni dei più influenti fotografi di strada internazionali del momento.

Classe 1952, Richard Bram fotografo dal 1984, dapprima in bianco e nero e poi dal 2002, incoraggiato dai colleghi di In-Public, il collettivo internazionale di streetphotography più importante al mondo, si avvicina al colore. Nel 2004 inizia la sua avventura con il digitale e ancora oggi dopo tanti anni scatta per le strade di New York con la stessa passione di sempre e con una convinzione maggiore.

Richard attualmente possiede una M240 e da pochi mesi una Q, ecco le domande che gli ho rivolto e le sue interessanti risposte.

Qual è il tuo percorso fotografico.  Quando hai iniziato a fotografare e perché?

Come la maggior parte persone scattavo fotografie occasionalmente. Non ho mai pensato di diventare un fotografo. Mi piaceva semplicemente scattare foto. Nel 1984, quando avevo 32 anni, la mia carriera lavorativa si è conclusa all’improvviso. Una crisi personale è diventata così un importante punto di svolta nella mia vita. Con l’incoraggiamento di alcuni amici, ho deciso di fare qualcosa di completamente folle e  provare a diventare un fotografo professionista. All’epoca non sapevo cosa volesse dire esattamente, sapevo solo che volevo davvero far funzionare tutto ciò e lo volevo più di ogni altra cosa al mondo. Sono andato nella biblioteca pubblica e ho iniziato a studiare, ho fatto un sacco di errori, ma ho lavorato sodo. Sfruttando anche un po’ di fortuna, nel giro di un paio d’anni ho avuto una clientela regolare e ho iniziato a fotografare eventi di vario genere.

Con il tempo e con gli assegnati ho imparato a essere consapevole di due cose: A) Lo sfondo di una fotografia, perché gli sponsor volevano giustamente sempre vedere i loro loghi negli eventi per i quali ero stato ingaggiato e B) Un gesto significativo, qualcosa per animare una fotografia e rendere interessante il soggetto che teneva un discorso o una conferenza. Le mie prime fotografie di strada spesso prendevano spunto e ispirazione dal punto A, mettevo in relazione il primo piano e lo sfondo, cercando di ottenere un effetto visivo o umoristico. Le foto che invece ho realizzato in questi ultimi anni sono più concentrate sul gesto, che sia esplicito o meno e che possa dare peso e interesse alla fotografia. Inoltre in fase di scatto e di editing sto cominciando a dare sempre più importanza alla composizione cercando di renderla più complessa.

Dopo diversi anni di servizi fotografici e assegnati ho sentito che stavo perdendo progressivamente il mio senso di spontaneità. Per evitare tutto questo e tenermi allenato, ho cominciato a prestare attenzione ai piccoli momenti “informali” che accadevano mentre stavo lavorando per un evento di uno sponsor aziendale. Ho quindi iniziato a catturare queste scene, anche se non le mostrano al cliente. Tutto ciò era molto più interessante e ho realizzato molte fotografie che sentivo più mie. Da qui è cresciuto il mio interesse per i momenti un-scripted e un-posed che sono il cuore di una buona Street Photography.

Cosa cerchi in strada?

Come ho accennato in precedenza, quello che sto cercando di catturare nelle scene che fotografo  è quello che potrebbe essere definito “un gesto significativo.” Il gesto può essere esplicito, importante, come qualcuno che indica qualcosa o qualcuno, o molto piccolo, come uno sguardo negli occhi di qualcuno, ma ancora una volta per me è il gesto che dà vita ad una fotografia. Inoltre all’interno della scena si deve catturare qualcosa di insolito, qualcosa di un po’ fuori dal comune. Non necessariamente una grande cosa, (dico spesso “Attenti al richiamo della sirena dell’abito divertente”) può essere semplicemente il modo in cui un uomo tiene in mano la bambola di un bambino, o come una madre guarda disperata e stanca i suoi figli che hanno preso il sopravvento.

C’è una costante e gioiosa sfida nel vedere qualcosa di strano che appare nella vita reale, e trovare il tempo per fermare la scena, raccontarla e inserirla in un rettangolo visivo. Non è necessario impostare e gestire le cose: la realtà è abbondante di situazioni originali.

Per tanti anni hai fotografato con una M240 e da qualche tempo hai una Q, cosa significa per te usare Leica?

La prima macchina fotografica che io abbia mai usato per fare un sacco di foto era un vecchio telemetro Yashica di mia madre. La portai in Europa con me nel 1973,  e per la prima volta feci tantissime fotografie tutte in un’unica occasione. Mi sono abituato a gestire la messa a fuoco con il telemetro e mi è piaciuto. Molti anni dopo, stavo facendo  tanti lavori per l’Orchestra Louisville, usando il mio cavallo di battaglia, una reflex, che però aveva un otturatore molto rumoroso. Un amico mi disse che avrei avuto bisogno di una Leica perché aveva l’otturatore silenzioso. Poco dopo, nei primi mesi del 1988, ho comprato la mia prima Leica, una M3 del 1955 che amo e uso tutt’ora. Fin dal primo momento che la presi in mano, la sentii mia e divenne rapidamente lo strumento preferito per il mio lavoro personale.

L’avvento della M9 mi ha spinto a iniziare a fotografare a colori, dopo ben 25 anni di immagini realizzate su pellicola in bianco e nero. E ‘stata la prima fotocamera digitale che mi ha permesso di girare comodamente in strada e raccontarla a colori, nello stesso modo in cui avevo sempre girato e fotografato in bianco e nero con le mie altre Leica. Quando uscì la M240, l’ho comprata e mi è piaciuta molto, notai subito grandi passi avanti riguardo la qualità delle immagini e la meccanica e potevo usarla esattamente nello stesso modo in cui ho sempre usato le altre Leica M. Era molto facile da usare, ho inserito un obiettivo 35 mm Summicron e sono andato comodamente a fotografare cosi come avevo sempre fatto. Ora ho un Q ed è diventata subito un grande strumento per il mio lavoro.

Ci parli delle differenze tra le due macchine? Cambia qualcosa per te quando usi la M240 rispetto alla Q?

Ci sono naturalmente molte differenze tra le due fotocamere. Con la M-240 posso cambiare le lenti a piacimento se ne sento la necessità, affidarmi completamente al mirino ottico e usare il Live View quando è necessario. Io però di solito la uso come una macchina fotografica manuale. In un certo senso, è come se utilizzassi una M3 molto avanzata, con una registrazione digitale a colori al posto della pellicola.

Con la Q c’è solo una lunghezza focale, 28 mm. Che ci crediate o no c’è voluto un po’ di  tempo per abituarmi. In quasi tutta la mia carriera fotografica le lenti grandangolari che ho usato sono state il 35mm o 24 mm – solo molto raramente il 28 millimetri. Per qualche strana ragione non ero a mio agio con questa lunghezza focale. Così mi ci è voluto un po’ di tempo per abituarmi al suo utilizzo e alla sua gestione.

Mi sono però abituato rapidamente ed ora mi sento perfettamente a mio agio con questa lunghezza focale. Mi ha subito colpito sia la velocità che la precisione del sistema di auto-focus, che è quasi istantaneo. E’ immediata e facile da usare ed è sorprendentemente leggera rispetto alla M240. Un’altra incredibile caratteristica della Q è la capacità ISO molto più alta. Sto facendo foto in condizioni di scarsa luce che non avrei mai potuto fare prima.

Quali sono gli autori che più ti hanno influenzato?

Quando ho iniziato, sono caduto in quello che potrebbe essere pensato come uno stile ‘classico’: emulare Kertesz, Cartier-Bresson, e Eisenstaedt; vale a dire poetica, bellezza, romanticismo. Avevo studiato tanta Storia dell’Arte presso l’Università. Questo mi ha aiutato a sviluppare un certo senso della composizione formale, che è cruciale per il mio stile, anche quando una foto sembra del tutto informale. Appena ho  dedicato più tempo alla fotografia di eventi, il mio stile si adattò ad un tipo di ricerca meno formale, Robert Frank e Garry Winogrand mi influenzarono fortemente. Più di recente ho avuto il piacere di incontrare e ascoltare Joel Meyerowitz e lui ha certamente influenzato il mio lavoro a colori, nella struttura e nella profondità stessa di molte fotografie recenti, riuscire a vedere quante cose possono essere messe all’interno di un frame e riuscire a farle funzionare.

Da poco hai pubblicato un libro, come sta andando questa avventura? Perché hai deciso solo ora di pubblicarne uno?

“RICHARD Bram: NEW YORK” è stata una bella avventura davvero. Come molti fotografi ho pensato a lungo alla realizzazione di un libro, volevo che una buona porzione del mio lavoro prendesse una forma tangibile. Circa tre anni fa ho iniziato a raccogliere le mie foto migliori, stamparle e metterle in una scatola. Il concetto iniziale era solo raggrupparle tutte insieme, senza alcun riferimento di tempo o luogo. Ma il tentativo di mettere insieme una sequenza non ha prodotto nulla di significativo. Lavorando con due diversi foto editor, Stella Kramer e Regina Monfort, ho iniziato a mettere a fuoco il progetto. A questo punto la selezione ha guadagnato coerenza, ma il flusso, “la musica visiva”, non c’era ancora. Mi sono seduto sul progetto per quasi un anno, fino alla fine nel 2015, poi ho iniziato a parlare e confrontarmi con David Carol e Ashly Stohl di Peanut Press. All’inizio nel 2016 ho preso la scatola con le mie 80 foto e con David abbiamo iniziato il montaggio finale. Qualche giorno dopo, mi ha mandato la sua sequenza, completamente diversa da qualsiasi cosa fatta e vista prima, funzionava tutto.

Ora il libro è in commercio e sono molto orgoglioso del risultato finale. Quando l’ho avuto per la prima volta nelle mie mani ho provato una sensazione incredibile. Oggi si sta vendendo bene tramite http://peanutpressbooks.com/products/new-york, così come nelle librerie selezionate negli Stati Uniti e a Londra, compreso il Leica Store di SoHo a New York.

Progetti per il futuro?

La parte più importante del futuro sta iniziando mentre scrivo. Mia moglie ed io siamo nel bel mezzo di un importante trasloco, si torna a Londra dopo 8 anni vissuti a New York City. Sono ancora una volta in transito tra i due luoghi, ma presto tutte le nostre cose saranno qui con noi nella nostra nuova casa sul Tamigi. Dopo di che? Riprenderò di nuovo a fotografare per le strade di Londra per completare il grande corpo di lavoro dei miei precedenti 11 anni qui. Nascerà quindi un libro su Londra naturalmente, anche se probabilmente passeranno un paio di anni prima che sia pronto, a complemento del lavoro su “New York”. Naturalmente continuerò sempre e comunque ad avere una macchina fotografica al collo – ci sono fotografie in ogni dove se si è preparati a coglierle, con gli occhi e la mente sempre pronti.

Grazie mille Richard !!!

Piacere, Stefano! e ciao!

BramBookCover

BramBookInside

BurgerKing2014

C21Spectators2011

DancingForHours2011

DominicanDay2005

Evolution2011

PostNoBills2012

TimesSquareDoll2012

William-Fulton2012-Crop

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