DISPACCI DAL FRONTE PRIMA PARTE
di Gabriele Micalizzi
Libia, Sirte.
Non ho mai usato una Leica e non ne avevo nessuna intenzione.
Sono un fotogiornalista, e da quando ho iniziato la mia carriera e studiavo fotografia, ho sempre visto le immagini dei grandi reporter che utilizzavano queste macchine.
Dentro di me ho sempre pensato con superficialità che ai nostri tempi fosse più uno status-symbol anacronistico.
Sai quella divisa da fotogiornalista: sciarpetta, Leica, Blundstone e molenskine….
Diciamolo pure, ero sempre squattrinato e di certo non potevo permettermela.
Poi ho partecipato a un contest televisivo chiamato Master of Photography.
Un’esperienza strana, massacrante, ma sicuramente fuori dall’ordinario.
Nel contest la macchine tra cui potevamo scegliere erano tutte Leica.
Nei giorni di test in cui avevamo a disposizione per provarle, ho subito avuto un sussulto, qualcosa non andava.
La qualità era molto imbarazzante…
Durante le prove bisognava stampare la fotografia prima di presentarla.
Quando ho visto la gamma tonale, la pulizia del file, l’incisività della lente, la mia espressione è stata:
“Se va beh ciao…!” Con questa qualità si dimezza, se non di più, il tempo della post produzione. Ma lasciamo i dettagli ai feticisti.
Quindi me ne sono comprate due, la Leica Q e la Leica SL.
Principalmente lavoro in zone di conflitto, sporco, sabbia, sudore, e zero tempo per pensare all’incolumità delle fotocamere.
Infatti le massacro, le sbatto ovunque.
Quando devi scappare da una sparatoria, o da un attacco e i mortai cadono, diciamo che salvare le pelle è la priorità.
E le macchine sbattono sui pick up, contro i giubbetti e le armi dei soldati.
Per non parlare di quando dentro una casa bombardata, a causa del pulviscolo dopo l’incendio, ho fatto un volo in spaccata che manco Bolle ai tempi d’oro… e la macchina ha battuto ovviamente dalla parte dell’obbiettivo.
Signori, graffi tanti ma la macchina rimane perfettamente funzionante.
Il corpo della SL direi che si può usare tranquillamente per mettere i chiodi alla parete.
Ha una presa solida che non te la fa mai scappare dalle mani… penso che vada bene anche per le risse…
Ma torniamo al Lavoro.
La zona del medio-oriente e nord-africa che sto seguendo con maggiore attenzione è la Libia.
La seguo dal 2011 e la storia si complica di anno in anno.
Caduto Gheddafi, tutti i rivoltosi si appropriano delle armi.
Quando il nemico è stato ucciso, le varie milizie hanno incominciato a litigare tra loro.
Riaffiorano le vecchie diatribe tribali.
Condite tutto con vari pozzi di petroli e risorse naturali disseminate qua e là in un territorio vastissimo.
Agitate 6 milioni di persone tra esiliati all’estero tornati per la rivoluzione, e mettete una quantità di armi spropositata.
Un pizzico di fondamentalismo dato dall’infiltrazioni dell’ISIS.
Guarnite infine con vari paesi occidentali e Sauditi che destabilizzano il paese con finanziamenti ed influenze.
Il risultato è un cocktail esplosivo… appunto. Una situazione politica anarchica e guerrafondaia.
Esattamente quello che rispecchia la mia ossessione fotografica, il disordine e l’odio…
Nei molteplici viaggi mi sono successe varie vicissitudini.
Come spesso accade a chi fa questo mestiere.
Mi hanno più volte cercato di fermare con intimidazioni e sequestrato schede SD.
Sono stato arrestato, ho fatto 10 giorni di domiciliari per recuperare un HD che conteneva tutto il mio lavoro. Non potevo andarmene senza, no.
Quest’anno ho deciso di dedicarmi totalmente a questo progetto cercando di raccontare a fondo una storia difficile, logisticamente ardua e con poche garanzie di sicurezza.
La Libia è un posto davvero affascinante, e con i Libici mi sono subito trovato in sintonia.
Forse perché abbiamo una lunga storia in comune, visto che prima sotto i Romani e poi nella prima metà del XX secolo è stata una colonia italiana.
Pensate che nel loro dialetto ci sono ancora molte parole italiane, come freno, cucina, sterzo, semaforo.
La zona che ho seguito questi ultimi mesi si trova nel centro dello stato, e le due città principali sono Misurata e Sirte.
La città di Sirte si trova a circa due ore, dipende molto che tipo di guida ha il tuo fixer.
Quando lasci Misurata alle spalle la strada che divide deserto e mare.
I mezzi che si incontrano ti conducono pian piano nel mood del film Mad Max.
Macchine tagliate con il flessibile e giunti saldati per trasportare mitragliatrici calibro 32 antiaeree.
Alcune jeep sono scoperchiate e gli autisti utilizzano occhiali da aviazione e sciarpe per evitare la sabbia che satura l’aria.
I colori sono caldi come la temperatura che sfiora i 50 gradi centigradi.
Quando si arriva a Sirte si sentono in lontananza i botti e il cielo si tinge di nero per incendi ed esplosioni.
I mezzi pensanti come elefanti creano lunghe code, e i sensi di marcia spariscono completamente sorpassi degni della Parigi-Dakar.
I suoni si amplificano e diventano sempre più vicini, ci fermiamo a metterci i giubbetti.
La riflessione è sempre la medesima, se ce l’hai lo metti se no che lo porti a fare, sapendo che la tragedia è sempre lì pronta dietro l’angolo che aspetta.
Arrivato in questo caos calmo, faccio un giro e vado verso la spiaggia a trovare alcuni amici del mio fixer che subito diventano anche i miei.
Nella front line trovi ragazzi giovanissimi, che dovrebbero stare a divertisti ai festini e studiare all’università, e non a reggere un vecchio AK e fare da esca ai cecchini delle bandiere nere.
Arriva qualche colpo e si risponde con raffiche casuali…
Quella notte ci propongono di rimanere da loro. Ci ripariamo nella loro base, perché ogni Katiba (brigata) EL MARSA ha la sua.
Rimanere nell’avamposto nella notte buia è pericoloso e inutile visto che non si possono accendere i generatori.
Nella base accendiamo il fuoco e prepariamo la cena, visto che è Ramadan e dobbiamo aspettare il tramonto.
I ragazzi pregano, io fumo, visto che per tutto il giorno non ho potuto e devo recuperare…
Ovviamente sono l’ospite e devo intrattenere prestandomi a improbabili discorsi e scherzi ripetendo parolacce in arabo, riportando le formazioni di tutte le squadre italiane, ricordi delle champions e dei mondiali del 2006.
Intanto i razzi Grad partono da dietro la nostra postazione e qualche volta arrivano delle risposte.
Giochiamo a scopa e scopro che nella scopa Libica la regina vale 8 e invece il fante vale 9, incomincio una discussione, ma capisco che è fiato sprecato, passo agli scacchi….
Andiamo finalmente a dormire.
Il sole sorge e la mattina ha un fortissimo odore di benzina.
La guerra più che immagini per me è odori.
La benzina appunto, perché le armi e le munizioni si puliscono e lubrificano così.
Dopo aver preparato tutto ci dirigiamo verso la nostra zona di attacco la spiaggia.
Tutti i mezzi sono schierati e avanziamo dritti verso il nemico che non tarda a farsi sentire dandoci il benvenuto a colpi di carro armato.
Dopo aver conquistato la collina a colpi di artiglieria pesante e RPG mentre piovono mortai, ci insediamo nell’avamposto che dà sul mare e abbiamo i piedi che affondano nella sabbia, tanto che anche le jeep rimangono bloccate.
Anche quando siamo entranti nel quartiere 700, è incominciata cosi l’avanzata.
Però in quel caso si trattava di vera e propria guerriglia urbana, si facevano i buchi a martellate per passare tra una casa e l’altra.
Mentre ci muovevamo tra le strade aperte dagli incursori ci siamo trovati nel mezzo di una sparatoria con dei cecchini a non più di 20 metri.
Alcuni nostri amici vengono feriti e altri cercano di accerchiare i nemici sfondando le porte dei palazzi per raggirarli.
Alla fine conquistiamo la piazza e quindi il quartiere, troviamo i corpi martoriati dei jhiadisti con passaporti e i pochi oggetti che testimoniano la loro provenienza.
Lì come maschere inanimate il loro atto è finito e non servono più, si fanno buche e vengono seppelliti.
Tanto nessuno verrà a reclamarli.
Rimane solo la polvere che l’inghiotte.
© Gabriele Micalizzi