Il ritratto fotografico nel Jazz
“di Andrea Boccalini”
“di Andrea Boccalini”
Andrea Boccalini, Leica Ambassador e Docente della Leica Akademie, è un fotografo internazionale apprezzato ritrattista e, nel settore della fotografia di Jazz, è ritenuto uno dei massimi esperti con alle spalle un gran numero di cover e opere realizzate per artisti internazionali.
Qui descrive il suo approccio alla fotografia di ritratto focalizzando l’attenzione non sulla tecnica ma sull’essenza contenuta nelle sue immagini.
Cosa significa realizzare un ritratto?
Una domanda la cui risposta, se lasciata in balia della retorica, potrebbe portarci in percorsi lunghi e tortuosi che passano dal rivelare l’anima del soggetto fino alla spiritualità.
Ritrarre per me significa fisicità, cogliere emozioni e sentimenti attraverso di essa.
Ciò che fa la differenza tra un buon ritratto e un cattivo ritratto è la capacità del fotografo di imporre attraverso essa la presenza di un soggetto all’occhio di chi osserva e che esso si imprima nella sua memoria. Il fotografo diventa una sorta di demiurgo in grado di plasmare questa fisicità attraverso una luce dura che ne sottolinei la forza, una luce morbida che ne assecondi la delicatezza o un controluce in grado di sgretolarla, sostituendola con una altro tipo di fisicità: quella della luce che si fa materia nel fotogramma. Sono tutte scelte che offrono emotivamente qualcosa agli occhi di chi guarda, restituendogli delle sensazioni che – se giustamente colte o valorizzate – lasceranno una traccia nel tempo. Ma questa fisicità può passare anche attraverso uno sguardo o un gesto. Elementi, questi, che Il fotografo deve essere in grado di trovare, cogliere e creare non solo attraverso la luce, il taglio o l’angolo di ripresa scelti, ma anche creando l’ambiente ideale in cui il soggetto si senta a suo agio nell’esprimersi e lasciare che il suo corpo o il suo volto reagiscano liberi agli stimoli suggeriti.
La mia scelta è da anni ricaduta su un corredo Leica M che uso anche nelle fotografie di studio e, oltre alla grande qualità, è un grandissimo aiuto per la sua presenza discreta e poco invasiva che consente di creare questo dialogo tra fotografo e soggetto senza filtri che concretizzino la differenza dei ruoli. Inoltre la qualità degli obiettivi e la lunga scala metrica di messa a fuoco mi consentono di poter gestire in maniera espressiva quello che considero uno degli armonici più importanti della fotografia: lo sfocato. Gli armonici sono le note invisibili, ovvero le vibrazioni determinate dal peso che il musicista mette su un tasto suonando una nota, la interpreta determinandone le sensazioni e le emozioni che deve restituire.
La sfocatura per me rappresenta quindi la mia interpretazione della realtà, essendo uno di quegli elementi che fanno parte della fotografia invisibile ad occhio nudo. Aver la possibilità di poterlo gestire in maniera ampia consente di regolarne la forza e il valore emotivo una volta che viene messo in relazione con il soggetto. Perché nel ritratto il ruolo del fotografo oltre a quello di rappresentare è anche quello di creare relazioni che nella realtà non esistono, stabilendo nuovi parametri di valutazione di un soggetto. Infatti nella vita quotidiana non siamo abituati a giudicare o conoscere una persona in funzione della luce che la illumina, del contesto in cui è ritratta, o dall’angolo in cui la guardiamo. In fotografia invece ogni elemento compreso nell’inquadratura, la modalità in cui lo inseriamo o come decidiamo di gestirlo, avranno un risultato che inevitabilmente condizionerà la valutazione che lo spettatore trarrà del protagonista della nostra immagine.
Il fatto che nel jazz ci si confronti con un pubblico molto consapevole, che non cede agli ammiccamenti estetici e alle immagini languide e seducenti, mi consente nel momento di ritrarre un soggetto di poterlo interpretare liberamente. Ma non avendo paletti occorre anche una forte consapevolezza per evitare eccessive divagazioni o il rischio di andare fuori tema scadendo nel manierismo.
© Andrea Boccalini